Coi suoi ragazzi, lo scorso 21 giugno ha pranzato insieme a Papa Francesco, che era a Torino per la visita alla Sindone. Nella sua vita di prete ha cominciato facendo il “cane da cortile”, come i Salesiani definiscono l’assistenza ai ragazzi, ed è giunto a essere il tutore di Erika De Nardo, la ragazza di Novi Ligure che col fidanzato Omar uccise madre e fratellino. Solo questo basterebbe a rendere interessante l’esperienza di don Domenico Ricca (don Mecô), cappellano del carcere minorile Ferrante Aporti. Ma i suoi 35 anni passati dietro alle sbarre offrono una varietà di storie pressoché inesauribile, che don Mecô racconterà venerdì 11 dicembre, alle 21.00, presso il nostro Oratorio, presentando il libro intervista “Il cortile dietro le sbarre. Il mio oratorio al Ferrante Aporti”. Con lui ci sarà Marina Lomunno, la giornalista che ne ha raccolto la testimonianza.
Quando don Mecô andò per la prima volta al Ferrante Aporti, era il 1979: «Conoscevo solo il luogo, ho varcato la soglia con tanto tremore, lo devo dire, con in testa la battuta di mia mamma: “Ma proprio in carcere dovevi andare, proprio lì?”. In seguito dirà ancora: “Ma a te non ti faranno mai parroco?”. Per lei fare il parroco era il simbolo del successo per un prete. Ma ha avuto ragione: al massimo sono stato viceparroco o collaboratore parrocchiale…».
Nessun rimpianto, però: perché la ricchezza dei rapporti umani dietro le sbarre ha riempito l’esistenza di don Mecô, facendogli capire come «anche per coloro che hanno già perso alcuni spazi di vita, hanno bruciato alcune opportunità, rimane ancora una carta da giocare».